Una civiltà di schiavi

"Se vi è mai stata una civiltà di schiavi in grande, questa è esattamente la civiltà moderna. Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l'alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente attraverso la tirannia del fattore economico e le strutture assurde di una società più o meno collettivizzata. E poiché la visione moderna della vita, nel suo materialismo, ha tolto al singolo ogni possibilità di conferire al proprio destino qualcosa di trasfigurante, di vedervi un segno e un simbolo, così la schiavitù di oggi è la più tetra e la più disperata di quante mai se ne siano conosciute." (J.Evola)

Da un lato gli schiavi alfabetizzati. Giovani, titolati, iper competitivi, assoldati dalle multinazionali per due soldi con competenze che 100 anni fa aveva forse un capo di Stato. Dall'altro i non alfabetizzati, "importati" dalle ONG, lupi travestiti da agnelli che con la scusa dell'accoglienza, hanno creato manovalanza a basso costo ed inquinato il mercato del lavoro. Al centro le piccole e medie imprese, vittime di una burocrazia patologica e di follie pseudoscientifiche, tartassate da restrizioni e chiusure. Capitalismo esasperato e "falsa uguaglianza": di questo si nutre il Leviatano moderno. Alla base di tutto ciò una scuola, che vivacchia tra regole demenziali per la presenza ed un'alienante didattica a distanza, distrutta nelle sue fondamenta e fabbrica di individui protocollari, perfettamente aderenti al sistema. Eccoci dunque, nostro malgrado, nell'era dell'uomo senza volto, schiavo senza sapere di esserlo, libero per definizione ma non nella sostanza, consumatore esasperato e nel contempo consumato da una vita che sfocia, ormai irrefrenabile ed impetuosa, nel mare del post-umano.