La smania del fare senza essere

C’è una strana tendenza, ovvero quella di affermare che "se non si fa qualcosa di concreto non si ha il diritto di criticare".

Partiamo dal presupposto che l'ultimo argomento non ha nessuna ragione sostenibile, sarebbe come dire: "se non sei un cuoco o non hai cucinato non puoi dire che la pasta è scotta".

Anche a noi di WI è stato più volte chiesto di "scendere in campo", ma ribadiamo che non siamo un movimento, né un partito, né una associazione o una organizzazione di qualche genere. Siamo totalmente indipendenti e ad oggi la ragion d'essere di questo canale è esclusivamente il pensiero e la ragione critica, non perché disdegnamo l'attivismo, che anzi sosteniamo in prima persona laddove meriti, ma perché ognuno ha diverse attitudini e predisposizioni, e la nostra è questa. In questa forma di contributo riteniamo, nei limiti delle nostre possibilità, di poter dare il meglio.

A coloro che accusano di "parlare e basta" vorremmo però rispondere con un paio di riflessioni.

Innanzitutto, quella di contrapporre il pensiero al "fare" è una fisima tutta moderna: epoche più illuminate della nostra hanno identificato nel pensiero la forma più alta e nobile di attività. Possiamo dire con sicurezza che non è possibile fare alcunché se prima non si stabiliscono le direttrici dell'azione, e queste solo il pensiero le determina.  In questo senso, crediamo che la nostra attività non sia superflua, né passiva.

Aggiungeremmo inoltre che molte delle azioni sconclusionate, o dei voltafaccia, sfaldamenti e contraddizioni a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, effettuati da movimenti e attivisti con la smania del "fare", forse non sarebbero esistiti se ci si fosse fermati a meditare con più attenzione prima di assecondare la propria irrequietezza.