Il trionfo della tecnocrazia - D.Lamènie

«L'economia ha assunto, a causa dello sviluppo della tecnica, un'importanza tale nella nostra epoca che ormai sono i suoi imperativi a determinare della nostra società le strutture. I mali di cui soffriamo dipendono in gran parte dal fatto che non abbiamo saputo sostituire abbastanza in fretta i vecchi quadri sociali, ereditati da un passato ormai sepolto, con uomini nuovi preparati per le loro conoscenze a svolgere le funzioni governative che il mondo moderno comporta. Il Progresso, che è una necessità talmente evidente da esser diventato il denominatore comune degli ideali di ogni cittadino, esige che venga bandito l'empirismo in un'epoca in cui ormai non ha più motivo di esistere, poiché le scienze razionali illuminano ogni giorno una nuova zona d'ombra.

I primi mutamenti del mondo moderno sono stati caratterizzati da un notevole balzo in avanti delle scienze della materia, cui non corrispose un adeguato progresso delle scienze umane. In questa prima fase il progresso materiale pur apportando benessere, non eliminò completamente l'infelicità, anzi talora contribuì ad aggravarla, poiché mancava una sufficiente conoscenza dell'uomo, della sua natura e dei suoi bisogni. In seguito, tuttavia, le scienze umane hanno cominciato a recuperare questo loro ritardo a passi da gigante: non è più soltanto sulle sue conoscenze nel campo della chimica, della fisica o anche della biologia che l'uomo d'oggi può contare, ma su quelle non meno razionali nel campo della psicologia, individuale e di gruppo, della sociologia, dell'economia, ecc. D'ora in poi il progresso materiale nei suoi risultati non sarà più lasciato al caso: l'uomo, forte della conoscenza di se stesso, potrà ormai orientare il progresso tecnico in modo da ritenere i soli risultati felici, possiamo quindi parlare di Progresso anche senza precisarne il campo, poiché l'uomo è in grado di far concorrere tutti i progressi particolari al Progresso generale, assoluto, il cui scopo è la felicità del genere umano.»

Ecco, in breve, quali sono le opinioni che costituiscono il credo tecnocratico e che oggi godono del consenso generale del grande pubblico, nonostante la sopravvivenza di alcuni focolai di oscurantismo inveterato che sussistono nelle più svariate categorie: si tratta di certi nostalgici della cultura dei secoli cosiddetti "grandi", ferventi sostenitori della tradizione, più legati alle discipline dello spirito e alla qualità del suo progresso che non all'efficacia della sua produzione; di certi medici che continuano a vedere nel carattere personale dell'esercizio della loro professione una condizione della sua oblatività, di certi militari che, malgrado l'evidenza della potenza dei mezzi di distruzione, affermano ancora il primato delle forze morali e dubitano allo stesso tempo dell'esistenza di metodi scientifici atti a suscitare e mobilitare dette forze; di tal uni bottegai e artigiani maniaci dell'indipendenza, alcuni dei quali continuano a prosperare grazie all'anarchia politica che sussiste ancora; di taluni coltivatori che hanno una sorta di culto per la terra che lavorano e sono in generale troppo anziani per aver potuto assimilare le concezioni che i «Giovani Agricoltori» si sforzano di diffondere; e di altri ancora...

Ma si tratta qui di minoranze, perché non solo i tecnici, la cui mentalità è particolarmente sensibile all'idea di una società scientificamente organizzata, ma anche uomini di ogni specie si schierano oggi con entusiasmo o con malinconico rammarico dalla parte delle "verità" tecnocratiche che ho appena schematizzato a grandi linee.

Ovviamente, i più convinti sono i tecnocrati stessi, e cioè coloro che si sentono chiamati a diventare gli eletti del sistema sociale moderno, coloro che per formazione mentale e competenza tecnica sono designati al potere. È inutile dire chi siano questi uomini, perché tutti li conoscono: i loro nomi figurano in una quantità più o meno notevole di commissioni e di organismi che si propongono lo scopo di ristrutturare la nazione o anche in gruppi internazionali più vasti, occupano in qualità di grandi esecutori le posizioni chiave della vita nazionale. Il saggio di H. Coston, Les Technocrates et la Synarchie, ci offre un elenco piuttosto nutrito di molti di coloro che lavorano come funzionari, ma, nell'insieme, i tecnocrati vanno ben oltre questa categoria. In effetti, è sempre più lo stesso genere di persone, si può dire la stessa casta, a occupare posizioni di potere, sia nell'ambito dell'amministrazione pubblica che in quello dei grandi affari cosiddetti privati, che in realtà, perdono sempre più il loro carattere privato con il diffondersi del dirigismo e della concentrazione industriale che oggi caratterizzano, molto di più che le nazionalizzazioni, la socializzazione del Paese.

Molto spesso, i dirigenti delle grandi società sono ex funzionari che hanno mantenuto l'accesso all'amministrazione tramite le loro relazioni con i colleghi di un tempo; essi parlano lo stesso linguaggio, che non è più quello degli uomini d'azione, ma è il vocabolario tutto neologismi degli organizzatori. Provengono tutti dalle stesse grandi scuole, dove tenuti lontano dalle realtà molteplici della vita, perché percepirne le infinite sfumature avrebbe significato turbare e distrarre in modo pericoloso lo spirito nell'età in cui è malleabile, hanno passato gli anni giovanili impregnandosi di schemi semplificatori che ne segneranno l'intelligenza con un sigillo comune che, più tardi, servirà loro da talismano e consentirà loro di intendersi di primo acchito nel corso dei loro incontri per tutta la vita.

Il Piano è il motivo conduttore di questi incontri organizzati: il Piano, questo vecchio sogno sinarchico che la IV Repubblica ha riconosciuto ufficialmente dopo che i principali organizzatori dell'economia del regime di Vichy gli avevano spianato la via, e al quale il tecnocrate Bloch-Laìné ha riservato, nel suo libro La Réforme de l'Entreprise, un posto speciale, quello di crocevia dei padroni della vita economica.

È inutile precisare che la casta è mossa da una forte volontà di potenza, riscontrabile tanto nei parvenus che vi sono entrati tramite concorso, quanto in coloro, che sono d'altronde i più numerosi, che assommano e i prestigiosi diplomi e una appartenenza familiare alla classe dirigente. Si tratta degli eredi di grandi signori che hanno dimenticato le loro tradizioni, di grandi borghesi stanchi di intraprendere nel rischio, di grandi funzionari o di distinti rappresentanti delle professioni liberali nei quali è svanito l'orgoglio dell'indipendenza. Agli uni e agli altri si aggiungano poi gli apatridi, per i quali la nazione è oggetto di conquista e la cui influenza sotterranea è, purtroppo, determinante.

Questa volontà di potenza si esprime in concreto nella volontà di escludere dal potere le persone che non appartengono alla casta. Il metodo più sicuro è l'edificazione di un sistema in cui non esista alcuna possibilità di inserimento per chi non è "ferrato in materia", e che valorizzi unicamente quelle doti che vengono considerate valide in base ai criteri stabiliti da coloro che lo sono. 

I tecnocrati comunque, non disdegnano alcuna occasione per eliminare qualsiasi tipo di concorrenza che possa contendere loro i posti di comando, sia che si tratti di notabili provenienti dalle strutture naturali che ancora resistono o rinascono nonostante tutto, sia che si tratti di indipendenti incalliti appartenenti a varie categorie professionali e presunti beneficiari di privilegi, sia che si tratti di politici; questi ultimi sono certamente i più vulnerabili a causa della loro mediocrità giustamente proverbiale e dell'origine del loro potere che è altrettanto artificiale nella nostra democrazia quanto quella a cui si appellano i tecnocrati. 

(...)

L'appetito dei tecnocrati è lo strumento di mire ideologiche di ben altra portata: la Rivoluzione vuole la distruzione dell'ordine naturale, la tecnocrazia, che è una forma della Rivoluzione, concepisce tale distruzione come un capovolgimento che, nella sfera temporale, tende a sostituire l'«economico innanzitutto» al «politico innanzitutto. »

(...)

I mezzi che i tecnocratici si propongono di usare non possono essere valutati adeguatamente se non in funzione dello scopo che essi si prefiggono. È sempre il problema della finalità che domina tutto il resto. Le Réflexions pour 1985 di Pierre Massé sono molto significative a questo riguardo.

Innanzitutto, bisogna essere inseriti in una certa dinamica, bisogna diffidare di tutto ciò che è permanente, di tutto ciò che potrebbe indurci a «fuggire l'avvenire», perché il passato vale solo nella misura in cui esso prepara l'avvenire - quello dei tecnocrati, ben inteso. «La vastità delle trasformazioni che i nostri sistemi di valori hanno subito sulla scia della rivoluzione industriale ci dà la misura dei mutamenti di significati che dobbiamo aspettarci nei prossimi vent'anni.»

La famiglia, ovviamente, è uno dei valori minacciati, poiché, essendo una cellula naturale fondamentale, non è stata creata dall'uomo: «perché l'uomo possa vedere nella civiltà un mondo a sua immagine, egli dovrà potervi riconoscere sia l'opera delle sue mani, sia la partecipazione dei suoi sforzi .... »

Ed ecco come viene formulata l'idea di Educazione permanente, che si è ormai istituzionalizzata:

«Adattandosi in un modo più elastico a finalità più coscienti (la formazione) dovrà sfociare nell'educazione degli individui sia come consumatori, che come cittadini, che come produttori, e permettere loro di accedere nel migliore dei modi a tutte le felicità possibili ....»

Dietro l'enfasi di queste parole è chiaramente riconoscibile una concezione puramente materialistica del mondo, l'edonismo, è l'idolatria dell'Evoluzione.

Incapace di scorgere il vero fine dell'uomo creato a immagine di Dio, e concepito per servirlo, il tecnocrate considera l'individuo uno strumento di produzione e un organo di consumo. Il tutto è coronato da un vago estetismo: poiché, secondo il tecnocrate, il fine dell'uomo si identifica con il suo ruolo di produttore e di consumatore, è proprio assumendo al meglio queste funzioni che egli troverà, per ciò stesso, la felicità alla quale aspira. Ci troviamo dunque di fronte a un capovolgimento totale della gerarchia dei valori che aveva instaurato il cristianesimo: la tecnocrazia non è che una forma particolarmente insidiosa della sovversione.

Fonte: tratto da “La tecnocrazia” di L.Damènie (Società editrice Il Falco)