La cosa di Carpenter e l' humus lovecraftiano

 

A fine giugno del 1982 vedeva la luce negli USA "La cosa" di Carpenter. Un film su cui si è scritto tanto, su cui si è cercato di indagare a piene mani su cosa ci sia dietro la trama di questo capolavoro, cercando di interpretarne ogni angolo ed ogni sfaccettatura. Raramente, una pellicola che ha superato i quarant’anni, è stata sezionata come in questo caso.

Certamente lo merita visto l'ampiezza dei contenuti e della proposta e forte anche dall’oggettivo giudizio che raramente un remake è stato superiore all'originale.

Infatti il film di Niby del 1951, pur essendo un prodotto dignitosissimo per i tempi, non ha lo stesso spessore del film di Carpenter che fa suo, andando alle origini e pescandone a piene mani dal racconto di Campbell, quel clima claustrofobico e paranoico che il racconto lancia ma che il regista statunitense riesce a codificare con una maestria leggendaria.

"La cosa" non è un semplice film horror ma è l'emblema di un humus lovecraftiano che si dipana lungo tutta la sua durata.

E' una finestra su una nuova forma di vita, una vita che assimila e ricopia, una nuova realtà. E che nella sua genesi sconvolge i parametri umanamente conosciuti.

Ed ecco il letimotiv del film: la paranoia, la diffidenza. Che si mescolano con l'inquietudine, l'angoscia e la costante tensione.

Aspetti che permettono l’analisi non solo della psicologia dei personaggi ma un vero e proprio approfondimento dell’interiorità umana che, invece di fare fronte comune contro la minaccia, mostra il baratro oscuro e senza fondo dove albergano i nostri istinti più sadici e animaleschi. Pulsioni che hanno il solo scopo di preservare la singola sopravvivenza a discapito di quella altrui.

La reclusione e l’arrivo dell’alieno sono il pretesto per mettere sotto pressione la tanto decantata etica degli esseri umani che, immancabilmente, cede sotto il peso del sospetto e della paranoia che si instaurano in ogni membro della troupe scientifica.

In un susseguirsi di scene memorabili, con la colonna sonora dark ambient del maestro Ennio Morricone e con gli straordinari effetti speciali di Rob Bottin, si arriva ad un finale tutt'altro che consolante e consolatorio.

Capolavoro senza tempo.


                                                                        Prince Rupert