Cronenberg - Burroughs e la metafora cospirazionista

La trasposizione cinematografica de Il Pasto Nudo di David Cronenberg è un dramma onirico che vede tanti, troppi punti di contatto legati alla civiltà odierna, soprattutto a ciò che rimane fuori dalla scena. Un film che potrebbe benissimo essere una metafora dell'operato della CIA, e di tutte le organizzazioni segrete e le loro oscure manovre.

Difficile fare un ragionamento lineare, si perseguono tante strade dentro questo film, tante quante c'è ne sono nel libro di Burroughs.

Ad una lettura superficiale, potremmo dire che Il Pasto Nudo non è altro che il delirio di un uomo in pieno trip che non si ricorda nemmeno, tra un trip e l’altro, di stare scrivendo un libro fantasy, ma questo mondo mentale di Lee è troppo malato, viziato, tossico, per non trovare assonanze ad una chiara critica alla società dell’era spaziale, un mondo che setaccia il moschino e si ingoia cammello arabo e tenda intera.

Bill Lee (alter ego di W. Burroughs), affetto da inquietanti e angoscianti allucinazioni causate da assunzioni di droghe non sintetizzate, uccide sua moglie e scappa a Tangeri dove si crede coinvolto in un complotto con esseri di un altro pianeta. In teoria le sue dovrebbero essere allucinazioni causate da droghe, ma nascondono una sottile metafora allorquando, sempre all'interno del suo delirio, Bill viene contattato dai servizi segreti per svolgere un ruolo in incognito di agente sotto copertura. Un conflitto interiore che si specchia nel conflitto cospirativo reale (a questo proposito illuminante il pezzo in cui il mugwump fa notare a Lee che di questo passo potrebbe diventare un giorno un vero agente della CIA data la sua attitudine di scrittore visionario cospirazionista).

Conoscendo Burroughs questa sarebbe un’ipotetica chiave di lettura.

Difficile paragonare “Il Pasto Nudo” con altre opere. Bisogna prima di tutto leggere e capire Burroughs, la sua storia, i suoi libri, i suoi cortometraggi, e tutta la sua produzione, per poi immergersi nel capolavoro del 1991 di Cronenberg che è in grado di far comprendere meglio chi siamo e dove siamo. Non ci si può nascondere dietro all’ignoranza dello spiegare tutto attraverso lo stato sociale ed il dogma, strada sicuramente semplice e poco faticosa ma vile e dannosa, soprattutto se si ha una visione proiettata verso il futuro e non ristretta al lasso temporale della vita che stiamo vivendo, un soffio se paragonata alla storia e soprattutto alla non-storia della mitica età dell’oro.

Come disse Burroughs stesso e come riporta Cronenberg all’inizio del film: “Niente è vero. Tutto è permesso”.

Per l’appunto, niente è vero in questa società costruita su delle menzogne, con i suoi abitanti oramai fagocitati e lobotomizzati che difficilmente riusciranno più a risvegliarsi da questo spettacolo globale che ha le stigmate luciferine e gli adepti di Satanasso.

Il pasto nudo è un inferno fatto di dolore, solitudine, alienazione e, soprattutto, dipendenza.

La(e) storia(e) si districa(no tutte) intorno a una città fantastica e terribile, l’interzona, teatro di oscuri traffici clandestini di droghe illegali e aliene e di informazioni segrete. È in questa città, sospesa fuori dal tempo, che agiscono i protagonisti. Essi sono tutti gli emarginati di un’umanità abietta, a vario titolo inseriti nel sottobosco criminale delle sue strade e inquadrati in una cospirazione di più ampio respiro che coinvolge gli ambienti della politica, della medicina, dell’editoria e del terrorismo internazionale. Tutti quanti dediti in modo più o meno velato ai precetti delle credenze esoteriche e delle religioni misteriche.

Cronenberg con questa trasposizione riuscì a dare forma alle paranoie innate e alle ossessioni di William Burroughs (anche al 40% sarebbe già stato un risultato strepitoso considerando la genialità policentrica irradiante del libro), riuscendo altresì a rappresentare il suo profondo senso di repulsione verso ogni forma di condizionamento che possa venire dal sistema.