"La bellezza ha questo di terribile, che non può esistere se non nell'annientamento. Se non si distrugge, prima o poi, si finisce per distruggere se stessi."
"Il Padiglione d'oro" è uno dei romanzi più belli di Yukio Mishima.
Pubblicato nel 1956, il libro si ispira a un fatto
realmente accaduto nel 1950: l'incendio doloso del tempio buddhista Kinkaku-ji
di Kyoto, patrimonio culturale del Giappone, per mano di un giovane monaco.
Il protagonista della trama è Mizoguchi, un ragazzo
timido, balbuziente e di umili origini che, sin dall'infanzia, è ossessionato
dall'immagine del Padiglione d'oro, un tempio buddhista descritto con toni
mitici dal padre. Divenuto novizio presso il tempio, Mizoguchi sviluppa un
rapporto contraddittorio con l'edificio: da un lato ne è affascinato,
dall'altro prova un senso di inferiorità e frustrazione per non riuscire a
possedere quella bellezza.
Mishima esplora qui il paradosso per cui la bellezza perfetta, proprio per la sua irraggiungibilità, può generare un impulso distruttivo in chi la contempla. Indaga come le nostre aspettative e idealizzazioni possano diventare fonte di delusione e alienazione quando confrontate con l'esperienza concreta.
Sullo sfondo del romanzo si staglia il Giappone del
secondo dopoguerra, sospeso tra tradizione e modernizzazione occidentale. Il
Padiglione d'oro diventa così simbolo di un'eredità culturale minacciata dal
cambiamento, e il suo incendio è una metafora della crisi identitaria del
Giappone contemporaneo.
La prosa di Mishima è ricca di simbolismi e di
descrizioni dettagliate, in cui si alternano momenti di lucida analisi
filosofica a passaggi di grande intensità lirica.
"Il Padiglione d'oro" è una riflessione universale, narrata con una sensibilità giapponese, sulla natura della bellezza, sul rapporto tra desiderio e possesso, sull'alienazione dell'individuo moderno.
La capacità di Mishima di esplorare le zone d'ombra
dell'animo umano, unita a una scrittura di straordinaria eleganza, rende questa
opera un capolavoro senza tempo.