Lavoro e tempo libero - G. Thibon

Il proletario moderno ha l'odio del lavoro. Anche quando questo è ben retribuito, la sua insoddisfazione non si placa. Soffre meno di essere un operaio sfruttato che di essere un operaio senz'altro: le sue infinite rivendicazioni materiali non sono altro che manifestazioni superficiali e ingannatrici di un tale malessere fondamentale. Il proletario soffre in questo modo perché il suo lavoro è inorganico, inumano. I socialisti propongono, come rimedio alla crisi operaia, una più giusta ripartizione dei redditi, salari più alti, come se il problema operaio si limitasse a questo! Si tratta piuttosto di un rifacimento totale delle condizioni prime del lavoro industriale, si tratta di sopprimere il lavoro inumano, il lavoro senza forma e senza anima: la « grande officina », il lavoro « alla catena », la specializzazione portata all'eccesso, ecc., tutte cose che lo statalismo socialista può solamente portare alla loro suprema e mortale espressione. Il problema dei salari è molto secondario. L'artigiano di paese che costruisce oggetti completi e tratta con una clientela viva è infinitamente più felice e soddisfatto dell’operaio d'officina, pur con uno standard di vita ben inferiore a quello di quest'ultimo. Se le condizioni di lavoro dell'operaio dell'industria e del commercio non cambiano, l'elevazione del livello dei salari potrà soltanto nuocergli. L'uomo votato al lavoro malsano è votato altresì allo svago malsano. Il tempo libero (con tutte le « distrazioni » che implica) non è più per lui il prolungamento ritmico del lavoro, ma una maniera di evadere, di vendicarsi del lavoro: invece di rendere più facile la ripresa del lavoro, la rende più amara. Non si rimedia ai mali scaturiti da un lavoro inumano con l'aumentare il benessere economico del lavoratore: si rischia anzi così di aggravare il suo fastidio e il suo decadimento. Il marchio di certe forme moderne dell'attività sociale consiste infatti in questo: il lavoro e lo svago, normalmente complementari, vi diventano antagonisti. Semplice caso particolare di quella legge generale che dice: le cose che, sane, si completano, malsane si divorano a vicenda. Il cattivo amore dei sessi si capovolge in odio dei sessi, un cattivo sonno invade la veglia e l'avvelena. Lo stesso accade per un lavoro senza anima: I'abbrutente mescolanza di tensione e di monotonia che lo caratterizza, si riflette sul tempo libero, lo predispone alla dissolutezza, cioè a piaceri inumani e artificiali quanto lui. Le gioie che popolano il riposo dei lavoratori diventano così qualcosa di teso e di artificiale una sorta di lavoro straordinario che, lungi dal distendere anima e corpo, aumenta la loro fatica e la loro intossicazione. Baudelaire, cantore supremo della decadenza, non per caso ha usato la parola « lavoro » per designare la voluttà: Oui des Dieux osera, Lesbos, être ton juge Et condamner ton front pâli per les travaux?... Les débauchés rentraient, brisés par leurs tra vaux...

Infatti colui che non trova più gioia nel suo lavoro, troverà lavoro nella sua gioia. Il lavoro forzato ha come corollario il piacere forzato. È amaramente istruttivo vedere la classe operaia e le sue guide rivendicare in primo luogo, e quasi esclusivamente, un aumento dei salari e del tempo libero. Pretese tanto superficiali rivelano una strana dimenticanza dell'intima solidarietà e della continuità qualitativa che esistono tra il lavoro e il riposo. Lavoro e svago sono le due fasi di uno stesso ritmo: la perturbazione di una di queste fasi porta fatalmente con sé una corrispondente perturbazione nell'altra. Chi dorme male non può vegliare normalmente; allo stesso modo un uomo costretto ad un lavoro contro natura rischia gravemente di non occupare molto umanamente il suo tempo libero. Si avrà un bell'aumentare quest'ultimo in quantità: non per questo la sua qualità diverrà meno inferiore e falsa. Non si tratta di tentare di far da contrappeso ad un lavoro inumano per mezzo dell'accrescimento del « benessere » dei proletari: finchè il lavoro resterà inumano, un tale benessere non potrà essere sano. Si tratta prima di tutto di umanizzare il lavoro. Fatto ciò si potrà lecitamente pensare al miglioramento della situazione materiale delle masse: le riforme operate in questo senso avranno allora maggiori possibilità che non oggi di non esasperare, nell'anima dei lavoratori, l'odio per il lavoro e lo spirito di rivolta e di anarchia.

Quando parlo di umanizzare il lavoro, non voglio dire di renderlo necessariamente più facile e meglio remunerato, ma voglio soprattutto dire di renderlo più sano. Esiste una vita dura e difficile che è umana: quella del contadino, del pastore, del soldato, del vecchio artigiano di paese, esiste anche una vita molle e facile che è inumana e che genera la corruzione, la tristezza e l'eterna ribellione dell'essere che non svolge alcun ruolo vivente nella Città: quella per esempio dell'operaio standard in periodo di alti salari, del burocrate amorfo e ben pagato, ecc. Ed è proprio quest'ultimo genere di esistenza che il socialismo reclama per tutti! Per parte nostra, noi che amiamo il popolo d'un amore umano (cioè d'un amore spietato verso qualsiasi atmosfera inumana che lo minacci, per comoda e desiderabile che possa essere in apparenza), chiediamo per lui molto di più, chiediamo dell'altro. I democratici moderni hanno troppo frettolosamente confuso vita dura e vita inumana. E con ciò si sono condannati quasi unicamente a corrompere sotto il pretesto di umanizzare.

Gustave Thibon, Diagnosi 1940 (Iduna edizioni)