Naqoyqatsi e la massificazione tecnologica

Godfrey Reggio è una delle figure di spicco del cinema d'avanguardia statunitense.

Convinto sostenitore dell'inadeguatezza del linguaggio come mezzo espressivo, dopo anni trascorsi in contemplazione e meditazione, cominciò a considerare la creazione di una forma cinematografica massimalista.

Risalgono agli anni '80 le sue prime sperimentazioni di cinema inenarrabile, basate su un massiccio connubio tra musica ed immagini.

Il concept di base, seguendo la lezione di Dziga Vertov, era quello di andare a selezionare alcune situazioni della vita reale e di riproporle poi su schermo, senza un filo logico, senza narrazione e creando una sorta di spettacolo visivo.

Divenne famoso per la trilogia “Qatsi”, che si aprì nel 1982 con il controverso “Koyaanisqatsi”(“vita in disequilibrio”), in cui la rappresentazione ipnotica di una società urbana nordamericana sopraffatta dalla tecnologia e totalmente slegata dall’ambiente naturale, si andava ad amalgamare eccellentemente con l'empirismo musicale di P.Glass.

Seguì “Powaqqatsi”( “vita in trasformazione), un lavoro molto più cadenzato, con un largo utilizzo dello slow motion, in cui Reggio scelse di andare in alcuni paesi in via di sviluppo quali Perù e Kenya, con il preciso intento di scorgere la collisione viscerale dei nuovi elementi tecnologici nelle relazioni tra le persone del posto.

Nel 2002 infine, presentato fuori concorso alla 59a Mostra del Cinema di Venezia , chiuse la trilogia con Naqoyqatsi ("una vita di reciproci omicidi"), prodotto dal noto Steven Soderbergh.

In quest' ultimo lavoro il regista americano decise di dedicarsi ad una silente osservazione del modus vivendi dei Paesi sviluppati.

Rispetto ai due precursori, la differenza principale di realizzazione fu nell' utilizzo della computer-grafica, scelta criticata da molti, in quanto "raffreddante e poco genuina".

Non si è compreso però, che volutamente si optò per l'utilizzo di immagini ad alta definizione tecnologica, plasmate attraverso la manipolazione digitale, proprio per mostrare il mondo in cui viviamo attraverso le lenti deformanti create dalla tecnologia stessa.

Effigie completamente rimodellate attraverso la fotografia termica e la solarizzazione, estese, compresse, velocizzate, stoppate, sgranate, insomma ritoccate in ogni maniera.

L'inizio è poderoso, un enorme edificio sorretto da ingenti colonne e sfavillanti finestre, con quadri che si trasformano in figure sempre iridescenti, si affaccia con supponenza su una grande città.

Ma la sua potente autorevolezza è illusoria, esso è in rovina. Al suo interno tutto è in frantumi, non vi è traccia di umanità.

Un vortice di figure, distinte e apparentemente slegate tra loro, si uniscono attraverso un montaggio circolare dove dettagli e colori ne generano altri espandendoli a loro volta, ed osserviamo così  anelli di fumo, piramidi che s'innalzano, primi piani di volti noti del millennio, loghi di multinazionali, simbologie religiose e politiche, notiziari , bombe, alimenti nocivi, sigarette, alcool, droga, McDonald’s, psicofarmaci, Tv, telefonini, formule scientifiche, atleti in tensione, maree, edifici neoclassici , grafismi elettronici e cronometri.

Uno show visivo di novanta minuti , dal sapore sperimentale simile ad un dipinto di Bacon in movimento composto da frequenti sovrapposizioni, ci mostra così il nuovo mondo della massificazione tecnologica che pare risucchiare e deformare tutto: gli uomini perdono la loro identità e vagano smarriti , tra conflitti e false ambizioni, governati e manipolati anche nei loro istinti e temperamenti.

Divenuti oramai impermeabili a qualsiasi influenza diversa da quella che va aldilà dei loro sensi , le loro facoltà di comprensione diventano conseguentemente più limitate, oltre che nettamente ristrette nel campo percettivo.

In essi vi è un materialismo divenuto quasi una struttura, e questa predisposizione pare apportare delle notevoli modifiche in tutta la costituzione psicofisiologica dell'essere umano.

Senza che la coscienza esterna se ne accorga, essi strozzano ogni possibilità, deviano ogni intenzione, paralizzano ogni slancio e si dannano l'anima vanamente.

La violenza civilizzata spadroneggia in lungo e in largo nella società post industriale, l' incessante perfezionamento dei mezzi di distruzione avanza e la felicità propagata della corrente scientista è illusoria.

La credenza di un progresso indefinito, che mira a moltiplicare bisogni artificiali più di quanti se ne possano soddisfare, pare esser divenuta una specie di dogma intangibile e indiscutibile, ed è così che mentre il logoro e obsoleto Dio viene detronizzato, appare un nuovo tempio di erudizione , ed è la scienza la nuova divinità del ventunesimo secolo.

E la sua verità diviene indubitabilmente "La Verità".

“Azzerare la differenza ontologica fra l'uomo e il suo creatore, scacciare quest'ultimo dal trono, farne sparire anche il ricordo, come quello di un oppressivo tiranno, e sostituire al tempo dei "miti" quello della "scienza", ove non c'è alcun bisogno di Dio, perché l'uomo sa già tutto quanto gli occorre per sentirsi il signore dell'universo. Sa perfino, come voleva Sigmund Freud, che l'idea di Dio è un'idea patologica, una forma di nevrosi ossessiva, della quale ci dobbiamo sbarazzare al più presto per recuperare, con la "salute", il nostro equilibrio psichico così a lungo minacciato. E’ ormai vicino il tempo in cui ogni uomo, grazie alle scoperte dei fisici, sarà in grado di leggere nella mente di Dio, ossia di farsi dio egli stesso? Sarà un superuomo formato tascabile, in sedicesimo; un superuomo poco nietzschiano e molto in sintonia con il consumismo usa-e-getta, con il pragmatismo utilitarista secondo il quale ogni problema esistenziale è una questione meramente tecnica e le domande metafisiche, semplicemente, non hanno un senso.”