Distacco e santità

Se si resta vittima dell’egoismo, che è la nostra radice animale, si conosce solo la superficiale felicità psicologica, che sta nel gonfiarsi dell'egoità, sempre in rapporto al sociale, nei suoi vari modi - piacere, denaro, potere, fama, ecc. -, e niente si conosce della profondità dell’anima e della sua beatitudine.
Quando invece scompare l’egoità, scompare con essa anche la separatezza e l’opposizione rispetto a Dio e agli altri e si comprende invece l’unità, spirituale e materiale insieme, di tutto il cosmo. Altre aurore sorgeranno: anche quando non ci sarà più questo uomo qui, altri ne gioirà, e ciò riempie di gioia, di una beatitudine che niente può togliere. Ogni esperienza spirituale, in Oriente come in Occidente, dice questa stessa cosa, con espressioni quasi identiche: beatitudine, gioia estatica in ogni istante della vita, presente quando é scomparsa l’egoità appropriativa, il senso dell’io e del mio. Una condizione che potremmo chiamare di santità, ma che non ha niente di eccezionale, anormale:  anzi, é la normalità per l’essere umano, che vi aspira dal profondo del cuore e che soffre se non la consegue, se non la è.

Fonte: tratto da "Oltre il cristianesimo" di M.Vannini (ed.Bompiani)