Il rifiuto dell’ascesi cristiana di Jung - J.C.Larchet

Jung ha una posizione estremamente negativa nei confronti dell’ascesi cristiana; né soltanto di certe forme deviate che essa poté assumere nel corso della storia (e ciò potremmo anche capirlo), ma pure come essa si manifesta fin dai primi secoli del cristianesimo nell'insegnamento dei Padri della Chiesa. Le rimprovera, in particolare, di voler estirpare il male dalla natura umana, invece d’accoglierlo, come egli vuole. Ben lontano dal vedere nell'ascesi un modo di vita liberatorio, Jung, al contrario, è dell’idea che essa si limiti a soffocare il male e cosi perpetuare i conflitti in seno alla psiche.
Questa concezione di Jung ha la sua radice nelle prospettive teologiche ed etiche della sua teoria, che egli ricavò dallo gnosticismo e da varie correnti esoteriche (in particolare l’alchimia), secondo le quali il male ha una sostanza, è indissociabile dal bene, fa parte in maniera inalienabile sia della realtà umana che di quella divina e in esse svolge un ruolo positivo né più né meno del bene.
Infine, Jung presenta l’imitazione del Cristo come una prima tappa della vita spirituale, ma tappa chiamata a essere superata. Ai suoi occhi, in effetti, il Cristo non potrebbe essere un modello dal valore assoluto, essendo perfetto ma non completo. Per lui, infatti, la completezza (che prevede l’inclusione in sé anche del male), come abbiamo visto, è preferibile alla perfezione; sta qui la ragione per cui egli rifiuta la santità‘ come norma cristiana di sanità spirituale e di compimento di sé in Dio.
Se nel suo processo d’individuazione l’uomo deve anzitutto optare per il bene - allorquando si scontra con la sua ombra -, e perciò imitare il Cristo (che in questo stadio rappresenta il Sé), tuttavia egli deve, a un livello più alto, tendere a superare anche il conflitto con il male e con le tenebre, integrandoli nell'unità dallo Spirito Santo, unità che corrisponde alla totalità del Sé e «all'unione degli opposti divini» che esso rappresenta. Insomma, l’avvento del Diavolo completa la venuta del Cristo, ma senza che quello implichi tuttavia un superamento di questa:
<< Il simbolo cristico del Sé non viene svalorizzato dall’adventus diaboli. Al contrario, se ne ritrova completato. E una misteriosa metamorfosi dei due aspetti che qui si compie>>; «se costato che il Cristo non é un simbolo completo del Sé, non lo rendo più completo sdegnandolo. Bisogna che io lo mantenga e a questo lumen de lumine io aggiunga l’ oscurità, se voglio dare una forma al simbolo della perfetta ambivalenza interiore di Dio >>
E' evidente che questi principi sono ben lontani non soltanto dall’insegnamento e dalla pratica della tradizione cristiana rappresentata dai Padri, ma sono con essi incompatibili, come peraltro lo stesso Jung ha spesse volte scritto criticando questo o quell' insegnamento patristico.

Come Freud, anche Jung aiuta l’uomo ad accettare i contenuti del suo inconscio, attraverso la loro presa di coscienza e simbolizzazione, e l’aiuta a coabitare in pace con quella parte buia e malvagia di sè che invece caratterizza, secondo il cristianesimo, la sua natura decaduta. Ma non l’aiuta a superare questa natura decaduta in una reale trasformazione di sé. Per Jung, è soltanto nella coscienza che ha di sé che l’uomo cambia e diventa un uomo nuovo.
L’idea junghiana che l’uomo incontra Dio e compie se stesso prendendo coscienza del Sé ("l’individuazione, scrive Jung, è la vita di Dio") è un’illusione che rischia d’allontanare definitivamente l’uomo dal Dio vero, dalla vera sanità spirituale e dal vero compimento di sé. Jung fu la prima vittima di quest’illusione nel suo tentativo d’autodeificazione.

Fonte: tratto da “L’inconscio spirituale” di J.L.Larchet (ed.SanPaolo)