Treni di ieri, treni di oggi

Che brutti i treni aperti di oggi, mentre com’erano belli i treni di un tempo, suddivisi in scompartimenti da sei viaggiatori ciascuno. Ovviamente è stata – come dubitarne? – un’esigenza funzionale a dettare questa trasformazione del treno, ovvero quella di ospitare più viaggiatori per ogni singolo viaggio ottenendo così il duplice scopo di fare più cassa e di venire incontro alla massificazione della società e permettere a più persone di viaggiare.

E che nel mondo di oggi si viaggi molto di più rispetto ad un tempo è evidente: basti pensare agli innumerevoli pendolari che prendono il treno per andare al lavoro, alle numerose persone che viaggiano per affari o per vacanza (diventata, con la vita stressante di oggi, una necessità) o ancora a tutti coloro che, per soddisfare sempre l’esigenza di questo nostro mondo moderno, internazionalizzato, globalizzato e capitalista, si sono trasferiti lontano dai propri cari per lavoro e che per andare a trovare la loro famiglia d’origine sono costretti a viaggiare..

Tutte situazioni oggi molto più frequenti di un tempo.

Ma come sono diventati brutti i viaggi in questi treni anonimi e massificati. Della poesia del viaggio non è rimasto neanche un lontano ricordo. Mentre come erano signorili i viaggi nei treni a scompartimenti.

Insomma, da quando il viaggio da facoltativo è diventato necessario si sono persi gli standards estetici, come d’altra parte sempre avviene in questi casi.

Inoltre un tempo i viaggiatori formavano nello scompartimento, volente o nolente, una piccola seppur effimera comunità, del tutto indipendentemente dal fatto che si socializzasse o meno: ricordo ancora, a distanza di trenta o quaranta anni, alcuni compagni dei viaggi fatti in treni a scompartimenti con i quali non ho scambiato neanche una parola, mentre non ricordo un solo compagno di viaggio da quando si viaggia nei treni aperti.

E quante emozioni tacitamente condivise con questi sconosciuti compagni di viaggio incontrati casualmente negli stretti corridoi che delimitavano gli scompartimenti: quelli che in piedi stavano a guardare in silenzio, dai finestrini, il rapido scorrere di paesaggi sempre diversi, magari fumando (allora non c’era la caccia alle streghe nei confronti dei fumatori come oggi e nei corridoi era permesso fumare). Come non riconoscere in essi fratelli nello spirito, adepti clandestini di una strana e quasi segreta setta, quella dei cultori della nostalgia? Quanta poesia condivisa con questi amici di qualche ora, compagni di quel breve – brevissimo – tratto di vita.

Con alcuni di essi, anche i più timidi ci si ritrovavano a chiacchierare.

Insomma, anche in quest’ambito la società, e chi la governa, ci vuole far diventare tutti degli individui singoli che non fanno comunità. Ovviamente non è questo il fine dei treni aperti, che come detto, è solo quello di permettere il viaggio a più persone, ma vedi caso l’isolamento, l’atomizzazione del viaggiatore ne è evidente effetto collaterale: e in questa società tutto quello che si fa per rendere più funzionale, più efficace ed efficiente un servizio o una istituzione, in fin dei conti ci porta a essere, collateralmente ma inevitabilmente, individui singoli e isolati.

E questo perché la società è costruita secondo questi parametri, e tutto quello che questa società organizza, inventa e produce soffre di questa specie di peccato originale.

Il seme che ha dato vita all’albero si ritrova, immutato, in ogni frutto dell’albero stesso; e in questo seme è nascosto il comandamento supremo di questa società: separa!

Ma perché ci vogliono separati, isolati, soli? Perché il fine ultimo è quello renderci succubi, acefali, consumisti e lavoratori, ovviamente per farli guadagnare di più ed accrescere il loro potere.

Ma per ottenere questo ci devono prima ridurre tutti ad essere, appunto, individui singoli, monadi senza contatti, frammenti senza relazioni e affetti profondi, senza radici.