La superbia e il volto delle due città - Sant’Agostino

Cominciarono ad esser cattivi in segreto per incorrere in un’aperta disobbedienza. Non sarebbero giunti all’azione cattiva se non precorreva la volontà cattiva. E inizio della volontà cattiva fu senz’altro la superbia.
Inizio di ogni peccato  appunto  è la superbia. E la superbia è il desiderio di una superiorità a rovescio. Si ha  infatti la superiorità a rovescio quando, abbandonata l’autorità cui si deve aderire, si diviene e si è in qualche modo autorità a se stessi. Avviene quando disordinatamente si diviene fine a se stessi. E si è fine a se stessi quando ci si distacca dal bene immutabile, che deve esser fine più che ciascuno a se stesso. Questa defezione è  volontaria. Se la volontà rimanesse stabile nell’amore al superiore bene immutabile, dal quale era illuminata per  vedere e infiammata per amare, non se ne distaccherebbe per divenire fine a se stessa e in tal modo accecarsi e gelarsi. Così la donna ha creduto che il serpente dicesse il vero, Adamo ha anteposto il desiderio della moglie al comando di Dio e si è illuso di essere venialmente trasgressore del comando perché anche nella comunanza del peccato non abbandonava la compagna della sua vita. Dunque l’azione malvagia, cioè la trasgressione nel mangiare un cibo vietato, è stata compiuta da individui che già erano malvagi. Quel frutto poteva maturare
soltanto da un albero cattivo. Contro natura è avvenuto che l’albero fosse cattivo, perché poteva avvenire  soltanto per depravazione della volontà, depravazione che è contro la natura. Ma soltanto una natura creata dal  nulla poteva viziarsi. Quindi la natura ha l’essere per il fatto che è stata prodotta da Dio, ma defeziona dal suo  essere per il fatto che è stata prodotta dal nulla. Ma l’uomo non defezionò al punto da divenire un nulla ma in modo che ripiegato su se stesso fosse meno perfetto di quando era unito all’Essere sommo. Essere in se stesso  dopo avere abbandonato Dio, cioè essere fine a se stessi, non è certamente essere un nulla ma accostarsi al nulla.
Perciò nella sacra Scrittura i superbi sono designati con un secondo termine, cioè che sono fine a se stessi. È  bene avere il cuore in alto, però non a se stesso che è proprio della superbia, ma al Signore che è proprio dell’obbedienza la quale può essere soltanto degli umili. V’è dunque in modo meraviglioso un effetto dell’umiltà che è levare il cuore in alto e un effetto della superbia che è deprimerlo al basso. Sembra quasi una contraddizione che la superbia sia in basso e l’umiltà in alto. Ma la devota umiltà rende sottomesso all’Essere che è più in alto, e  nessuno è più in alto di Dio, e quindi l’umiltà che rende sottomessi a Dio eleva. La superbia invece, poiché  consiste nel pervertimento, per il fatto stesso rifiuta la sottomissione e decade dall’Essere che è più in alto e sarà quindi nel grado più basso, come è stato scritto: Li hai atterrati mentre si innalzavano. Non ha detto: “Quando si erano innalzati”, nel senso che prima si innalzavano e poi erano gettati giù, ma: mentre s’innalzavano,  in quel  momento sono stati gettati giù. L’innalzarsi è di per sé essere atterrati. Dunque nella città di Dio e alla città di Dio esule nel tempo si raccomanda soprattutto l’umiltà e viene messa in grande rilievo nel suo Re che è il Cristo, ed è dottrina della sacra Scrittura che nel suo rivale, che è il diavolo, domina il vizio contrario che è la superbia. Ne deriva la grande diversità per cui l’una e l’altra città, di cui parliamo, si differenziano, una cioè è società degli uomini devoti, l’altra dei ribelli, ognuna con gli angeli che le appartengono, in cui da una parte è superiore l’amore a Dio, dall’altra l’amore di sé.