Che cos'è l'intelligenza?

Se dovessi definire l'intelligenza, direi che si tratta essenzialmente della capacità di osservare, analizzare i dati a disposizione e di trarne una logica deduzione, avvicinandosi il più possibile al quadro di insieme.

Ancora più nello specifico, si potrebbe dire che la capacità di cogliere un quadro di insieme ampio è una qualità che va oltre il concetto stesso di intelligenza.

Ci sono infatti tantissime persone dalle spiccate capacità intellettive che però concentrano tutte le loro energie in un singolo settore, e quando si allontanano da esso quasi smarriscono ogni capacità interpretativa.

Questo, nello specifico, è un fenomeno tipicamente moderno, laddove il nostro stesso progresso si fonda nella iper-specializzazione.

Abbiamo infatti, nella nostra società, innumerevoli esperti nei campi più disparati, eccellenze nel loro campo di applicazione, che però poco si intendono, o si interessano, dei fenomeni, spesso essenziali, che muovono l'intero meccanismo del nostro sistema.

Come se ognuno di questi esperti sapesse tutto del proprio ingranaggio, poco o niente dell'ingranaggio suo prossimo, e ancora meno della macchina nel suo complesso.

In ogni caso, ritornando all'intelligenza in sè - definita quale capacità di interpretare diversi dati e indizi per trarne un veritiero quadro di insieme (essere in grado di unire i puntini, come si dice in gergo)- possiamo notare come questa capacità, che sulla carta dovrebbe essere appannaggio della maggioranza delle persone, possiede quattro grandi nemici.

Il primo nemico dell'intelligenza è la sopracitata iper-specializzazione.

Tutte le energie e le capacità del singolo vengono convogliate su di un singolo argomento, e tutto ciò che lo circonda rimane perlopiù ignoto.

Semplificando, è la situazione in cui si trova chi passa la sua vita a contare ogni singola cellula di un albero e non si rende mai conto di trovarsi dentro una foresta.

Il secondo nemico dell'intelligenza, ed è un difetto che tocca tutti, in gradi diversi, è il pregiudizio, l'ideologia, la predisposizione mentale.

Se nel caso della iper-specializzazione il quadro di insieme non veniva colto perchè ci si concentrava esclusivamente su di un singolo punto, per colpa del pre-giudizio ci si trova invece nella situazione di avere già in mente un risultato finale a cui si vuole giungere.

Così, con un quadro di insieme già delineato, si finisce per selezionare solo gli indizi che si adeguano ad esso, e che non ne rovinano la struttura.

Questo meccanismo in psicologia si chiama "bias di conferma", e consiste propriamente nel dare enfasi agli avvenimenti ed ai dati che confermano la nostra idea iniziale, ignorando tutti quelli che la contraddicono.

E' importante osservare che tutti siamo vittime di questo meccanismo: diviene quindi essenziale esserne consapevoli, e cercare in ogni modo di arginare il fenomeno.

Il terzo nemico dell'intelligenza, in qualche modo legato al secondo, è il conformismo.

Il fare propria l'opinione condivisa agisce su degli strati profondi ed ancestrali della nostra psiche, assicurandoci un senso di protezione, lo stesso che i nostri progenitori, e anche noi stessi, ricaviamo dallo stare in gruppo, dal sentirci, una volta inseriti in un contesto più ampio, più sicuri di noi e più protetti, grazie al "numero".

A causa del conformismo non si sente più la necessità di fare lo sforzo per interpretare i dati e trarne una conclusione: si aspetta solo che venga fornita una interpretazione comunemente accettata e la si fa propria.

Il quarto grande nemico dell'intelligenza, diretta conseguenza del terzo, è quindi semplicemente la pigrizia.

Perché il pensare comporta uno sforzo, uno sforzo reale, e spesso non si hanno energie sufficienti per farlo, oppure si preferisce dedicare quelle stesse energie ad altre attività che hanno un rendiconto più piacevole.

Carlo Brevi



Il medium è il messaggio

Quando Marshall McLuhan diceva che "il medium è il messaggio" sosteneva che l'introduzione di un nuovo strumento di comunicazione alterava la struttura neurovegetativa del Corpo Sociale, ed era esso stesso dunque il messaggio più che il contenuto che veicolava.

La tecnica della stampa (e prima ancora la scrittura), per esempio, alterava la struttura neuronale del corpo sociale spostando la percezione globale dal senso fino all'epoca privilegiato - l'udito - alla vista. Prima si raccontavano storie in cerchio attorno al fuoco, la memoria era assai sviluppata proprio per via dell'allenamento a tramandare il sapere attraverso l'oralità, attraverso la voce. La voce, e per estensione il suono, la phoné - oggi considerati effimeri, sciacquati via dalla dimenticanza aeriforme - veniva invece registrata dalle menti che erano preparate a riceverla. Una volta disabituata la mente a registrare (perché ci pensava la scrittura a fissare tutto), eccola impigrirsi irrimediabilmente. Ed è qualcosa che ha coinvolto tutta l'umanità. Fu un cambiamento epocale che alterò perfino i processi di aggregazione sociale. Non più in cerchio attorno al fuoco, ma posizionati in file parallele, schematiche, magari in palazzi e città perpendicolari, senza guardarsi in faccia. Senza chiudere gli occhi. Senza ascoltare la propria interiorità.

Ogni nuovo strumento impatta irrimediabilmente il nostro modo non solo di concepire, ma di percepire il mondo tutto.

Parte preponderante del profondo cambiamento epocale che stiamo vivendo - le discrasie, le antinomie, lo scollamento sempre più tranciante tra Uomo e Natura - non è che conseguenza dell'introduzione di nuovi strumenti di comunicazione (di massa, beninteso) che il Corpo Sociale deve abituarsi a gestire riplasmando in maniera plastica il proprio apparato neurovegetativo. Accade in senso detrimente, diminutivo, sottraendo potere e incartilaginendo l'attitudine di potere e di controllo di ciascun essere umano.

In estrema sintesi abbiamo oggi un essere umano che è finalmente pronto - pronto! - a patire il passaggio all'uomo nuovo, all'uomo sottratto, all'uomo minuendo: allo schiavo consumista mantenuto in vita per essere spremuto.

Non avrebbe altro da dare. Alcun contributo se non la propria pronazione.

Disabituatevi al mezzo. Disabituatevi alla tecnologia. Riprendiamo il controllo sulla Tecnica per ottenere restituita la Vita.

Uriel Crua



Le logiche delle masse e l'istruzione - G.Le Bon

Si può dire in modo assoluto che le folle non sono influenzabili con ragionamenti. Ma gli argomenti che esse impiegano e quelli che agiscono su di esse appaiono, dal punto di vista logico, di un ordine talmente inferiore che solo per via di analogia si può qualificarli come ragionamenti.

I ragionamenti inferiori delle folle sono, come i ragionamenti elevati, basati su associazioni: ma le idee associate delle folle non hanno tra di loro che legami apparenti di rassomiglianza e di successione. E si legano nello stesso modo di quelle di un Eschimese il quale, sapendo per esperienza che il ghiaccio, corpo trasparente, si fonde in bocca, ne conclude che il vetro, corpo ugualmente trasparente, deve anch'esso fondersi in bocca; o di quelle di un selvaggio ii quale immagina che mangiando il cuore di un nemico coraggioso egli acquista il suo coraggio; o ancora di quelle dell'operaio che, sfruttato da un padrone, ne conclude che tutti i padroni sono sfruttatori.
Associazione di cose dissimili, non avendo tra di esse che rapporti apparenti, e generalizzazione immediata di casi particolari : tali sono i caratteri della logica collettiva. Gli oratori che sanno maneggiare le folle, presentano sempre loro associazioni di questo genere che sole possono influenzarle. Una serie di ragionamenti stringati, sarebbe totalmente incomprensibile alle folle, e perciò é permesso dire che esse non ragionano o fanno ragionamenti falsi, e non sono influenzabili con un ragionamento. La leggerezza di certi discorsi che hanno esercitato un'influenza enorme sugli uditori, talvolta stupisce alla lettura; ma si dimentica che essi furono fatti per trascinare delle collettività, e non per essere letti da filosofi. L'oratore, in intima comunione con la folla, sa evocare le immagini che la seducono. Se egli riesce, il suo scopo é stato raggiunto; e un volume di arringhe non vale le poche frasi che sono riuscite a sedurre gli animi che bisognava convincere.

Inutile aggiungere che l'importanza delle folle a ragionare giustamente le priva di ogni spirito critico, vale a dire dell'attitudine di discernere la verità dall'errore, e a formulare un giudizio preciso. I giudizi che esse accettano non sono che quelli imposti e mai quelli discussi. Sotto questo punto di vista, numerosi sono gli individui che non si elevano sopra le folle. La facilità con la quale certe opinioni diventano generali deriva specialmente dalla impossibilità della gran parte degli uomini di formarsi un'opinione particolare basata sui propri ragionamenti.

Il primo pericolo di questa educazione - molto giustamente qualificata latina - é di basarsi su un errore psicologico fondamentale: credere che l'imparare a memoria dei manuali, sviluppi l'intelligenza. Quindi si cerca d'imparare il più possibile; e dalla scuola elementare all'università, il giovanetto non fa che impinzarsi del contenuto dei libri, senza esercitare mai il suo giudizio e la sua iniziativa. L'istruzione, per lui, consiste nel recitare e obbedire. « Imparare delle lezioni, sapere a memoria una grammatica o un compendio, ripeterli bene, ecco - scriveva un vecchio ministro dell'Istruzione pubblica, Jules Simon - una piacevole educazione dove tutto lo sforzo è un atto di fede davanti all'infallibilità del maestro, e che non riesce che a sminuirci e a renderci impotenti ».Se questa educazione fosse soltanto inutile, ci si potrebbe limitare a compiangere disgraziati fanciulli ai quali si preferisce insegnare, invece di tante cose necessarie, la genealogia dei figli di Clotario, le lotte della Néustria e dell'Austrasia, o delle classificazioni zoologiche; ma essa presenta il pericolo assai più serio di ispirare in colui che l'ha ricevuta, un disgusto violento della condizione in cui é nato, e l'intenso desiderio di uscirne. L'operaio non vuol più rimanere operaio, il contadino non vuole essere più contadino, e l'ultimo fra i borghesi più non vede per suo figlio altra carriera possibile che quella di funzionario di Stato. Invece di preparare degli uomini per la vita, la scuola non li prepara che a funzioni pubbliche in cui la riuscita non esige alcuno spirito d'iniziativa. In basso alla scala sociale, essa crea quei militi del proletariato scontenti del loro destino e sempre pronti alla rivolta, in alto, la borghesia frivola, scettica e credula ad un tempo, tutta piena di fiducia verso lo Stato provvidente e che tuttavia essa biasima continuamente, incolpando sempre il governo delle proprie colpe e incapace di intraprendere qualsiasi cosa senza l'intervento dell'autorità.

Soltanto l'esperienza, unica educatrice dei popoli, si incaricherà di disvelarci il nostro errore.
Soltanto essa saprà provarci la necessità di sostituire i nostri odiosi manuali, i nostri meschini concorsi per un'istruzione professionale capace di ricondurre la giovinezza verso i campi, le officine, le imprese coloniali, oggi abbandonate.
Quest'istruzione professionale, ora reclamata da tutti gli spiriti illuminati, fu quella che ricevettero un tempo i nostri padri, e che i popoli attualmente dominatori del mondo hanno saputo conservare con la loro volontà, la loro iniziativa, il loro spirito intraprendente.


Fonte: tratto da "Psicologie delle folle" di G.LeBon (Ed.Clandestine)